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LA RIZOARTROSI

Tale patologia da sola rappresenta il 10% di tutte le localizzazioni artrosiche: è la più frequente dopo l’artrosi dell’anca, del ginocchio e della colonna vertebrale; colpisce generalmente i soggetti con età superiore ai 55 anni, principalmente donne in età peri-menopausa.

La classificazione più utilizzata a livello internazionale è quella di Eaton e Littler (1973) che individua quattro stadi di avanzamento della malattia:

- Stadio 1: non vi è ancora una degenerazione cartilaginea; è presente un allargamento dello spazio articolare, e la sublussazione articolare è inferiore a 1/3 della larghezza della rima articolare.

- Stadio 2: i contorni articolari sono normali, lo spazio articolare è ristretto, e la sublussazione articolare è uguale a 1/3; sono presenti osteofiti di diametro inferiore a 2 mm.

- Stadio 3: si notano la scomparsa della rima articolare e la sclerosi dell’osso subcondrale, con degenerazioni cistiche; la sublussazione articolare è superiore a 1/3, gli osteofiti presentano un diametro maggiore di 2 mm; il soggetto presenta una modesta limitazione articolare.

- Stadio 4: oltre alle alterazioni presenti nello stadio 3, sono presenti anche sclerosi dell’osso subcondrale e una compromissione dell’articolazione navicolo-trapezoidea; la sublussazione articolare è maggiore rispetto a quella dello stadio 3, e la limitazione articolare più grave.


La rizoartrosi è una malattia cronica, con la tendenza a un peggioramento continuo, pertanto la prognosi non può essere positiva. Nonostante ciò, l’economia articolare e la rieducazione della mano artrosica possono rallentare l’andamento della patologia.

La prima proposta terapeutica per le persone affette da rizoartrosi nello stadio I e II secondo la classificazione di Eaton e Littler, è sempre di tipo conservativo: viene proposto un programma di trattamento che prevede:

- riposo

- educazione ad una corretta economia articolare: trovare le giuste strategie e accorgimenti per gestire la propria patologia nelle attività della vita quotidiana.

- applicazione di agenti fisici: come paraffino terapia e bagni di calore: utilizzati per gli effetti antalgici, miorilassanti, decontratturanti e facilitanti l’estensibilità del tessuto connettivo e la mobilità articolare. Inoltre, il calore stimola la circolazione ematica anche a livello dei tessuti profondi, sollecitando così i processi metabolici della cartilagine. Possono essere utilizzati anche gli ultrasuoni, che favoriscono il riassorbimento dell’edema, aumentano l’elasticità del collagene, diminuiscono la rigidità articolare, riducono lo spasmo muscolare ed esplicano un effetto antalgico

- uso di tutori statici: con l’obiettivo di stabilizzare o immobilizzare l’articolazione trapezio-metacarpale, così da prevenire o correggere le deformità delle strutture anatomiche e favorire la riduzione della sintomatologia dolorosa. Il tutore può essere di due tipi, a riposo o funzionale, in modo da permettere all’articolazione trapezio-metacarpale di mantenere una posizione corretta sia a riposo che durante le attività quotidiane

- rinforzo della muscolatura tenare (muscolo del pollice)

- fisioterapia mirata a una vera e propria rieducazione della mano artrosica, in modo da garantirne la funzione prensile e la forza, senza sovraccaricare eccessivamente le articolazioni.

- terapia farmacologica: è una terapia solo sintomatica, che prevede l’utilizzo di FANS, condroprotettori o infiltrazioni locali.

 

OPZIONE CHIRURGICA:

- Stadio II Instabilità preartrosica, per evitare evoluzione successiva (infrequente)

 

- Stadio III-IV Pazienti sintomatici con grave disabilità che non hanno risposto alla terapia conservativa. (frequente)

 

Quando la patologia artrosica, proseguendo il suo decorso, non risponde più a terapia farmacologica, fisica o chinesiterapia, o quando il quadro è piuttosto invalidante sia per il dolore incessante che per la limitazione funzionale, diventa risolutiva la chirurgia ortopedica.

La scelta dell’intervento da eseguire deve essere ragionata per ogni paziente, in base alla gravità del quadro, all’estensione dell’artrosi, all’età del soggetto e alle sue esigenze funzionali.

Nei pazienti in cui non vi sono gravi deformità articolari è spesso sufficiente eseguire interventi di ricostruzione legamentosa (legamento-plastica); si tratta di interventi poco invasivi, con i quali è possibile conservare l’integrità articolare.

In caso di danni articolari gravi è necessario ricorrere ad interventi di sostituzione articolare con una protesi o ad interventi di fusione articolare (artrodesi).